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ISTITUZIONE :: CENNI STORICI

I) I primordi

I numerosi e ancora frequenti ritrovamenti di reperti litici e di manufatti preistorici testimoniano la presenza dell'uomo sul territorio su cui opera il Consorzio di bonifica, fin dalla più remota antichità, già a partire dal Paleolitico inferiore.

È stata, infatti, accertata la presenza dell'uomo di Neaderthal, cacciatore e raccoglitore dei frutti che il territorio spontaneamente offriva, lungo le sponde del mitico lago Lirino (già prima del suo svuotamento ad opera del fiume Garigliano), che occupava gran parte dell'attuale bacino del fiume Liri, sostenuto a valle dalla catena dei monti Aurunci.

I primi stanziamenti umani, risalenti ad epoca preistorica preferivano la pianura e la vicinanza ai corsi d'acqua; questa constatazione di carattere generale riguarda in particolare l'intera Valle del Liri con la propaggine sud orientale della valle del Rapido.

Le popolazioni però non trascuravano per i loro rifornimenti i collegamenti con le zone interne montane attraverso i tratturi che s'inerpicavano lungo i profondi canaloni del Melfa, del rio Secco, del Rapido fino alla Valle di Comino e più su, fino alle Mainarde e all'Appennino.

Per ragioni di sicurezza, data la bellicosa pressione esercitata da popolazioni straniere, richiamate dalla ricchezza dei luoghi, nella successiva epoca protostorica fra l'età del bronzo e quella del ferro, le accresciute popolazioni locali (probabilmente le genti ausoniche), preferirono insediarsi in luoghi elevati.

Gli Ernici che occuparono le alture al margine della valle Latina, i Volsci, un vasto territorio trasversalmente alla valle del Liri, ma comprendendola, gli Osco-Sanniti, si stanziarono per lungo tempo nella valle del Rapido e in Val Comino.

Gli Ausoni, o Aurunci, furono confinati sulle alture dell'omonima catena degli Aurunci fino al mare.

II) La "Pax romana"

Per vedere le popolazioni riappropriarsi delle pianure e praticare una vera e propria politica agraria con spartizione, e spesso la bonifica dei terreni, come si rinviene dalla citazione di varroniana memoria "margines lapidei", lungo i fiumi cassinati, occorre riportarsi in epoca storica, all'instaurazione della "pax romana".

Con l'instaurarsi di colonie in centri come Fregellae (Ceprano), Interamna, Aquinum, Casinum, in periodo repubblicano e con le relative centuriazioni, furono ben definite proprietà terriere e una capillare rete stradale (principale arteria fu la Via Latina), in gran parte utilizzata ancora oggi.

Dell'immenso lago Lirino rimase solo una miriade di laghetti, tra cui i tre laghi d'Aquinum resi addirittura navigabili.

In epoca imperiale cominciarono a formarsi i latifondi a beneficio di potenti famiglie patrizie che esigevano dai loro coloni il massimo della resa; ciò naturalmente, comportò una cura scrupolosa della proprietà agraria ed una razionale gestione delle acque.

Tale periodo felice per l'agricoltura, tramontò traumaticamente con le invasioni barbariche, che sradicarono i contadini dalle loro terre e li spinsero lontani dalle grandi vie di comunicazione, inducendoli nuovamente a cercare rifugio sulle alture a lato della Via Latina.

Di conseguenza i campi della pianura, abbandonati a se stessi, furono invasi dalle acque stagnanti e da una folta vegetazione palustre.

III) I Benedettini

Con l'arrivo di San Benedetto (a. 529) e all'insegna del motto "ORA ET LABORA" dei suoi monaci, ci fu un primo tentativo di rinascita del territorio, con la bonifica di molti terreni e il richiamo di contadini alla terra, ma una nuova invasione barbarica, questa volta i Longobardi, spazzò Via ogni intento di ripresa.

Solo un secolo e mezzo dopo, il tenace Petronace riportò i Benedettini sul monte di Cassino riprendendo ciò che era stato interrotto.

Vi fu un periodo di relativa tranquillità durato ancora un secolo e mezzo, durante il quale il patrimonio dei Benedettini si accrebbe enormemente grazie ad importanti donazioni.

Verso la fine del IX secolo, le terribili incursioni dei Saraceni, installatisi presso la foce del Garigliano, misero a ferro e fuoco l'intero territorio, creando desolazione e costringendo alla fuga monaci e contadini e distruggendo la stessa abbazia di Montecassino.

Solo nel 949 l'abate Aligerno ritornò a Montecassino con i suoi monaci, provvedendo alla ricostruzione del monastero e alla ristrutturazione delle terre di sua pertinenza, che aveva trovato completamente spopolate.

Per rimettere a coltura la terra di San Benedetto l'abate "chiamo agricoltori dalle regioni vicine (come quella dei Marsi) che non erano state devastate dai Saraceni, e li fissò con le loro famiglie nelle singole contrade rimaste disabitate, concedendo loro terre a condizioni vantaggiosissime, in pratica dietro corresponsione della settima parte del raccolto di grano, orzo, miglio, e la terza parte di quella del vino. Tutto il resto rimaneva a loro totale beneficio. I coloni, poi, erano liberi di stare o andarsene quando, dove e come loro piacesse. La terra di San Benedicti veniva in tal modo in gran parte ripopolata da persone provenienti dalle più svariate parti e rimessa in coltivazione".

Il successivo arrivo dei Normanni in queste contrade non mancò di apportare nuovo scompiglio, e proprio per difendersi da questi l'abate Richerio (ab.1038-1055) ordinò agli abitanti delle campagne di stabilirsi attorno alle rocche, sorte nel frattempo numerose, circondando le abitazioni di mura.

In tal modo ebbero origine quasi tutta, i comuni del cassinate che ancora conservano cospicue tracce delle antiche fortificazioni.

Pur tra alterne e tempestose vicende (tra Saraceni, Normanni, terremoti, lotte tra papato e impero), il modo di vivere delle popolazioni del territorio della valle del Rapido e della bassa valle del Liri, al di là d'ogni rivolgimento politico e nonostante che la zona fungesse da cuscinetto tra il potere del Papa e il resto del meridione, curando la terra e sfruttando le acque, riassunse l'aspetto degno di un consorzio umano.

All'epoca, in tutta l'Europa era ancora diffusa una specie di schiavismo, milioni di umili lavoratori, provvisti d'arnesi rudimentali, lavoravano per un pugno di grano e per poche monete una terra ricchissima non sufficientemente sfruttata, a beneficio di pochi potenti: "Il lavoro era opera vile, propria degli animali e degli schiavi, come nell'antica concezione greco-romana".

Ruolo fondamentale ebbe il vasto piano di colonizzazione attuato dai Benedettini a beneficio del territorio e dei suoi abitanti e la massima "ORA ET LABORA" che tendeva a santificare il lavoro come fonte di gioia, amore, pace, giustizia, libertà, ut in omnibus glorificetur Deus, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio.

Nella disgregazione del Basso Impero l'insegnamento di San Benedetto, che aveva mostrato, con l'esempio e con l'impegno personale, come una comunità poteva vivere libera e indipendente dall'asservimento del dominus, costituì il seme di una nuova vita.

L'Abate Luigi Tosti nella sua Storia della Badia di Montecassino ci riferisce che con l'aiuto e sotto la guida dei monaci "si sboscavano pinguissime campagne; alle acque si dava scolo, fruttifere piante adombravano terra per lo innanzi inselvatichita; le spine e i rovi cessero il luogo alle biade e alle viti".

Gli abati si preoccuparono pure di migliorare le condizioni economiche e sociali dei paesi loro soggetti: cartiere a S. Elia, fabbriche di stoffe a S.Elia e a S. Germano, fabbriche di aghi e spilli pure a S. Germano furono alcuni dei mezzi adoperati.

Costruzioni di strade ed altri pubblici lavori venivano disposti straordinariamente per alleviare speciali strettezze, mentre per dirozzare le plebi incolte istituivano scuole; per soccorrere l'infanzia, specie quella abbandonata, si aprivano asili e orfanotrofi.

Dunque la bonifica non fu fine a se stessa, non fu la semplice espressione della naturale vocazione dei monaci verso i lavori agricoli, ma fu il presupposto per una organizzazione sociale ben più complessa e completa.

Il piano di colonizzazione del territorio si attuò mediante concessioni a livello, in particolare enfiteutiche, a liberi coltivatori diretti, oppure con la grancia (termine derivante dall'antica cella granica, il nostro granaio), azienda organizzata col sistema dell'impresa, caratteristica dell'Ordine benedettino cistercense. In entrambi i casi i lavoratori della terra erano liberi di restare o di andarsene a loro piacimento.

La proprietà benedettina normalmente si suddivideva in parte dominica o padronale, in cui l'abate coltivava a conto diretto trattenendosi tutti i frutti, e in parte massariccia, che a sua volta si suddivideva in mansi, porzioni di terra sufficienti alle esigenze di una normale famiglia.

Il Fabiani ritiene che "le condizioni a cui furono concesse le terre erano indubbiamente le più favorevoli accordate in quel tempo. Delle tre principali colture dell'anno, il grano, l'orzo e il miglio, andava corrisposta la settima parte e del vino (si divideva dal mosto) la terza parte. Tutti gli altri raccolti rimanevano ad utilità esclusiva di quegli agricoltori". Va precisato che l'obbligo della corresponsione della terza parte del vino aveva inizia dopo il settimo anno dall'impianto della vigna.

Un'opera di bonifica, di particolare importanza, è segnalata nelle fonti Cassinesi e riguarda il corso del fiume Rapido, che anticamente scorreva sotto le mura di San Germano fino alla porta della città che appunto si chiamava Porta Rapida.

Il suo corso era tumultuoso, forse di qui il nome della porta, e spesso causava gravi danni alla città; e le frequenti alluvioni allagavano i piani bassi e seminterrati e trasportavano rovinosamente masse di detriti lungo le vie cittadine e negli orti.

Nell'anno 1585 l'Abate Bernardo IV Ferrajolo fece deviare l'alveo naturale in tre diversi corsi, in modo da ripartire la portata delle acque.

Risolse in tal modo il problema delle alluvioni e consentì un uso differenziato del prezioso liquido, dove parte della triplice deviazione giunse fino all'ultimo conflitto mondiale; l'attuale corso, detto del "Quinto Ponte", ricalca uno dei tre bracci cinquecenteschi.

Opportuna appare anche quanto si rinviene dai documenti dell'Archivio di Montecassino, e, cioè: il fiume Liri, già molto noto in epoca romana, nel corso del medioevo prendeva anche il nome di Carnello (Carnellus), mentre l'attuale Rapido era chiamato Vilnio o Vilineo, retaggio dell'antico nome varroniano (Vilneus).

 

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